La Grecia, il mare e il Meltemi. Uniti si vince sempre.
Le aspettative di alcuni sono andate compromesse. Colpa del Meltemi, di un mare agitato dal vento tra i 25 e i 35 nodi continui, di un salpa ancora capriccioso come alcuni dell’equipaggio, che avrebbero voluto visitare Santorini e che in qualche modo l’hanno raggiunta con il traghetto. Nostro malgrado non in barca.
Si cerca di placare gli animi con ouzo e mastika, abbracciando assieme la speranza che l’anno prossimo per chi ha potuto fare solo una settimana, ci sia più clemenza e fortuna. Non ci sono colpe e nemmeno sfiga in fondo. Fa parte delle variabili di un viaggio come questo.
Le previsioni allarmistiche delle varie fonti da cui attingiamo notizie ci fanno abbandonare l’idea di fare una bella notte in rada tra Schoinoissa e Kofunissia. Ci dirigiamo quindi subito a Katapola, il porto di Amorgos.
L’idea iniziale era quella di evitare il più possibile i porti, privilegiando una rotta naturale ma le condizioni impongono un programma più conservativo.
Se rimani bloccato in barca anche da un fuoribordo che decide di abbandonarti sul più bello, così come la sorpresa di vedere che il tender è costellato di buchi in ogni dove, forse l’ormeggio in banchina offre valide alternative.
Quanto meno per l’equipaggio, perché lo skipper la vede come una buona occasione invece per cercare di “tappare i buchi” rimasti. La dura vita del mare.
E’ ferragosto ed in Grecia ogni angolo è devotamente ornato di croci, chiesette bianche e blu, icone e funzioni religiose. Il porto si colora di questi momenti, in una processione che unisce tutti in festa, balli locali e musica fino a notte fonda.
Ormeggiati al fianco del Small Cyclades Lines, il traghetto che gira le isole circostanti, pensiamo a come affrontare le nuove previsioni meteo che raccontano grandi sventate e mare pesante. Nel dubbio aspettiamo un giorno, per vedere l’evoluzione del tempo.
Con motorini e macchine allora ci godiamo l’isola da terra. Calette, taverne e il famoso monastero dove si arriva ovviamente con il sole a picco sulla testa, senza fiato. Con pantaloni lunghi per gli uomini e pareo per le donne si accede entro le 17.
Varcando una porticina di modeste dimensioni si svela un luogo di culto silenzioso, disturbato solamente dal vociare di noi turisti e dal cigolio del legno delle scale sotto i mille piedi frettolosi.
Le porte principali invece sono chiuse, quelle che danno accesso alla vera vita dei monaci ortodossi che vivono la loro realtà lontani da tutto e tutti, nella clausura di un luogo che evoca storie millenarie e un orizzonte mozzafiato, vero e proprio dipinto incorniciato dalle piccole finestrelle blu da cui è possibile ammirarlo con più prospettive.
Siamo accolti da volontari che reggono un vassoio pieno zeppo di dolcetti di zucchero e shottini di rakomelo, un liquore al miele e cannella che ti esorta a berne a litri, prima del coma etilico che ti aspetta una volta tornato fuori per riprendere i centinaia di scalini che ti separano dai motorini.
Sulla strada del rientro andiamo ad ammirare il relitto della Olympia, una nave mercantile spiaggiata sulla strada per Kalotaritissa. I colori ambrati della ruggine tra le ombre del tramonto, rendono magico il silenzio anche di questo luogo, dove l’unico pensiero è rivolto al tempo che ha trascorso lì, nel moto ondoso di un mare che lentamente erode le tracce materiali del suo passato.
Previsioni o no, non si vuole rinunciare ad Astypalea, l’isola a sud più esposta tra Amorgos e Kos, dove si concluderà anche la seconda settimana. Le previsioni danno un buco di vento e cerchiamo di anticipare il peggio. La mattina leviamo gli ormeggi dalla banchina per buttarci in giostra.
Vento catabatico a sud dell’isola ci raccoglie con il cucchiaino, pettinati da raffiche fino a 51 nodi e onda formata, con spruzzi d’acqua che svelano l’arcobaleno ad ogni sventagliata.
Giusto il tempo di allontanarci dalla costa per ritrovarsi con qualche livido sulle vele, sulle ginocchia di chi non ha propriamente un piede marino e incredibilmente con vento ridotto da 51 nodi a quasi niente, maltrattati ora da un’onda formata alla quale ormai nessuno sembra farci più caso. Sarà perché sono tutti morti in dinette dopo i festeggiamenti della sera prima?
Dopo 5 ore di navigazione finalmente raggiungiamo l’isola. E’ difficile cercare un ridosso perché il vento è tornato a spingere ancora pesante. Niente, non ci vuole mollare. Si infila prepotentemente tra i valichi delle montagne che disegnano i contorni di Astypalea e che ammireremo con più consapevolezza dopo qualche giorno ad 8000 metri di altezza, sul volo che ci riporterà a casa.
Cerchiamo riparo in una piccola rada a sud-est, dopo averne scandagliate diverse. Il vento è molto teso e le raffiche continuano a prendere a schiaffi le persone raccolte in pozzetto, fino a quando decidiamo di filare ancora, tanta, su pochi metri di profondità.
Passiamo qui la notte, a brandeggiare a destra e sinistra come fossimo un cavallo indisciplinato chiuso in un recinto e tenuto alla longhina.
Non si perde occasione comunque di far festa, dando fondo alla nostra scorta di bollicine arrivate direttamente dall’Italia. Colpa delle fazioni di nazionalisti veneti.
Cerchiamo di premiare gli sforzi e la determinazione a voler arrivare in qualche modo a destinazione. Kos è la “final destination”, che detta così sembra inquietante ma dove invece cambieremo parte degli equipaggi e finalmente, al contrario del significato del famoso film, sistemeremo un po’ di problemi alle barche.
Le condizioni del mare non lasciano presagire ancora nulla di buono e la mattina dopo, di buon ora, prendiamo il largo. Rotta 80 verso Nysiros, isolotto a sud di Kos. Anticipiamo di un giorno la traversata per lasciare un po’ di decongestione all’equipaggio prima del cambio. La scelta è azzeccata.
Entriamo a Gyali, ormeggiando di fronte la cava di pomice famosa in tutto il mondo. Il vento rimane ancora per un po’ a ricordarci che le Cicladi sono vicine anche se ormai siamo nel Dodecanneso. Il mare è spianato dal ridosso e dal vento stesso. Riusciamo finalmente a fare il primo pacchetto della stagione, per la gioia di tutti. 3 barche, giusto il tempo di un brindisi è accettabile. Il mare è calmo, il sole scalda.
Gli equipaggi si sfogano, cantano, ballano, si leccano le ferite a vicenda bagnandole con il sale del mare e con gli spritz che escono dalla dinette a pentolate. Luci viola, rosse e blu dei led fissati al boma, musica e risate che cominciano dal tardo pomeriggio e si esauriscono poche ore dopo il tramonto. La stanchezza alla fine si è fatta sentire ma gli animi sono salvi.
Un bel modo per risvegliarsi la mattina dopo ed entrare contenti nel marina di Kos, un porto ferito dal terremoto ma che nonostante tutto non ha perso la vita e la voglia di vivere come sempre.
La sera è tranquilla e la taverna greca un po’ fuori dal centro accoglie i 30 impavidi attorno ad un unico tavolo, dove siedono anche parte dei ragazzi che prenderanno il posto di chi finirà il viaggio qui. Un convivio colorato di facce sfumate da espressioni più o meno pallide di chi inizia la sua vacanza, chi la finisce e di chi invece la continua.
L’unione fa la forza, si confondono i punti di vista delle avventure di una navigazione per niente facile e attorno ad un tavolo, tutto diventa più semplice.
La voglia di vincere sulla fatica e sulle piccole disavventure tecniche che per alcuni sono state vere e proprie traggggedie, alla fine è più forte. Lo “spirito” prende il sopravvento scaldando gli animi e la festa che si fa poco dopo in down town accomuna questa voglia di continuare il viaggio alla grande… ancora tutti assieme.
Questa è la vita. Momenti da vivere, gestire e superare, per cercare il bello in ogni occasione, per condividere al meglio ogni inizio… anche se con qualche difficoltà. Per cercare il buono anche quando sembra non esserci.
Perché non c’è mai una fine, se il viaggio continua, soprattutto nella nostra testa e nel cuore.
Buon vento.