Nord est del Brasile. Il viaggio via terra di un velista
Una parentesi, lontani da una barca a vela ma vicini al mare: nel nord est del Brasile. Ecco il viaggio via terra di un velista.
Nella luce accecante di agosto, accompagnati da un silenzio assordante è solo il vento a farsi sentire, per fortuna. Ci saranno 150 gradi e siamo alla nostra terza tappa del viaggio in Brasile, dopo una visita a Olinda (vicino Natal) e una breve parentesi a Fernando de Noronha, una splendida isola vulcanica al sapore di Jurassic Park, 350 km dalla costa brasiliana, nel bel mezzo dell’Oceano Atlantico.











Se non ci passi in barca arrivando dall’Oceano, la si raggiunge con un volo turbo elica di 50 minuti. Verde lussureggiante, mare cristallino, tramonti mozzafiato, sabbia finissima quasi arancione, habitat ideale per molti animali, in particolar modo delfini, tartarughe, lucertole, granchioni e albatros giganteschi che scagazzano liberi per l’isola. Lo vedi perché la macchia verde abbarbicata sulle coste scoscese a tratti è praticamente bianca. Insomma, un vero paradiso terrestre, patrimonio dell’Unesco e sulla quale si atterra solo prenotandosi perché è a numero chiuso. Davvero incantevole e ragazzi, davvero cara.
Beh, sono passate da poco le tre del pomeriggio e sto guardando fuori dal finestrino del mega bus (mezzo principale per spostarsi da una città all’altra, oltre l’aereo) che ci accompagnerà da Recife a Goianinha (8 ore di viaggio), per dirigerci poi a Praia de Pipa, il nuovo paradiso dei surfisti e di chi ama il vento (oltre a Jericoacoara). Una delle 6 tappe che abbiamo in programma attraverso il Pernambuco, Paraiba, Rio Grande do Norte, Cearà, Piaui, fino a São Luis, nello Stato del Maranhão. Un viaggio via terra questa volta e non per mare, alla scoperta di un lato del mondo che non conoscevo.
Non so voi ma per me ogni viaggio ha il suo tempo, quello che hai, che resta o che ti prendi. Quel tempo che sfugge e che purtroppo a lungo andare genera lontananze, tra le persone, i luoghi, così come tra terre e culture, quelle che popolano uno stesso mondo a cui apparteniamo ma che per fortuna il mare non divide, bensì unisce.
Nascosti dalla pesante ombra delle piante scorgo un gruppo di persone che chiacchierano in una delle tante adunanze improvvisate che si vedono lungo le strade, accovacciati su sedie raccolte dal nulla, moto honda 125 o pezzi di auto che si trovano ovunque ammassati qua e là. Veri e propri cimiteri di rottami avvolti da erbacce, plastica e spazzatura di ogni genere che ad ogni angolo di centro abitato (ovvero agglomerati di case più o meno finite) contrastano con i colori della poca erba verde rimasta e il rosso della terra seccata dal sole.
Sui muri delle vie che ci portano fuori dalla città invece scritte, simboli e motti di ogni genere, probabilmente un battibecco silenzioso tra bande rivali che non so decodificare ma che sicuramente esiste, quanto meno, così narrano le cronache locali.
Queste sono Recife, Fortaleza e Natal, per noi waypoints di collegamento, cittadine rispetto a San Paolo o Rio dove questo problema è molto più ampio e accentuato. Probabilmente perché sono in milioni le persone che le vivono?
Un mondo sommerso ma nemmeno poi tanto, che popola le vie, i quartieri e anima una vita fatta di stenti che per molti purtroppo è anche senza valore. Glielo si legge negli occhi di uno sguardo che incrocio furtivamente mentre siamo fermi allo stop, al sicuro, fuori dal suo mondo, tra i riflessi del sole che scalda il vetro del mio pullman, quello che mi porta nel paradiso dei surfisti, lontano dal suo inferno.
Un inferno di baracche tra lussuosi grattacieli, lungo vie fatte di filo spinato, cavi elettrici, vetri immersi sulle sommità di cemento dei muri di cinta. Fortezze armate con il numero civico di un’abitazione (per quelli che ne hanno una vera), attrezzate con telecamere e luci di rilevazione che si attivano al passaggio di ogni oggetto in movimento e che ha ogni quartiere bene (quindi turistico), oltre ad una sentinella armata, a disposizione H24 e rinchiusa in una garitta a 2 metri da terra. Ma non è la sola ad occuparsi della vigilanza in questi grossi centri urbani.
Per le strade girano dei personaggi in borghese con un mega manganello nero agganciato alla cinta dei pantaloni, tra le auto che hanno tutte rigorosamente i vetri scuri per non farsi riconoscere o per non far semplicemente vedere chi c’è a bordo.
Infine completano lo schieramento poliziotti in divisa antisommossa con in mano dei veri e propri cannoni. Li vedi gironzolare in camionette blindate o jeep ad ogni ora del giorno e soprattutto della notte. È la “polícia federal” cioè la polizia vera, quella istituita in alcuni casi per ripulire dallo “sporco” fatto di polizia corrotta e dal sottobosco urbano. Quello che in molti ripudiano, allontanandosi dal “pericolo” riunendosi in assemblee “de Deus” sparse ovunque, divise tra cattolici, battisti e protestanti. Una variante religiosa in un contesto armato, benché folkloristico e colorato, anche se a volte manifestato con un eccesso di fanatismo nei tattoo sul collo, braccia, schiena e gambe. Ma meglio invocare e cantare le lodi a Dio che impugnare un coltello a serramanico.
Una vita nella vita, tra i colori di un paese festoso, dove autoctoni e viandanti condividono sorridendo il terrore che ad ogni fermata di autobus, semaforo o incrocio si possa essere attaccati da chiunque, per recuperare qualunque cosa. Tutto questo mentre bambini con la cartella e la manina stretta dalla mamma o dalla nonna, se ne vanno a scuola felicissimi di farlo, attenzione: alle 7 del mattino. Sì avete capito bene. Orario strano che da noi è considerabile alba, mentre per loro in questo periodo è un giorno invernale come molti altri e finisce presto, tra le 17:30 e le 18:30 (a seconda delle zone), quando la luce del sole ed i suoi 32 gradi di temperatura lasciano il posto al buio, ai 24 gradi ventilati e al suo popolo oscuro.
Una realtà questa che sfuma man mano che ci allontaniamo dai grossi centri urbani (ho detto sfuma, non sparisce) e ci si addentra nel cuore del Nordeste, lungo strade senza fine che attraversano gli Stati separando palme, cocchi, oasi nella sabbia e terra da queste realtà confinanti molto rallentate, fatte di attese, chiacchiere tra amici e botteghe improvvisate, appoggiate su qualsiasi cosa possa esporre acqua, frutta secca, fresca, cocco, tapioca o “paõ e queijo” (pane e formaggio) …ma questi sono quelli più raffinati.
Un apparente disordine mentale ma che al contrario ha una sorta di suo ordine sociale. Sí perchè ognuno si inventa o condivide qualunque cosa e tutti vivono la stessa esigenza o condizione senza intralciarsi, al contrario, collaborando per non perdere la filiera dell’opportunità o ritrovandosi in un “caixa” per tentare di sbancare il lunario con una lotteria nazionale (beh, questa è un’abitudine condivisa anche da noi e da molti altri).
Persone, storie, vite parallele, facce bianche, nere o mulatte ed espressioni che comunque sia, sono sempre in linea di massima sorridenti. Anche i tassisti quando sfanculano chiunque gli impedisca di zigzagare tra le auto hanno l’espressione sorridente. Almeno, questo è quello che ci è capitato a noi.
Ovunque andremo incontreremo gente cordiale, accogliente e disponibile. A volte in cambio di parecchi real brasiliani, altre per pochi spicci ma molto spesso in cambio solo di un sorriso, per il piacere di aver aiutato il “gringo branco” (lo straniero) e con il quale, non so bene per quale diavolo di motivo, in molte occasioni si sono voluti fotografare. Chissà cosa racconteranno ai loro amici quando si rivedranno in una piazza a mangiare durante la finale olimpica di calcio Brasile-Germania o lungo le coste del fiume Preguiça.
Una vita che abbraccia insomma più livelli sociali. Per quelli fortunati, intelligenti o coraggiosi, livelli fatti di lavoro normale e turisti provenienti da ogni parte del mondo e con i quali si relazionano condividendo ognuno la propria realtà. Mentre gli altri si limitano a cercare stratagemmi per finire la giornata. Per chi nonostante tutto è fortunato.
Una strana realtà, fatta di un forte orgoglio patriottico e tanti eccessi contrastanti. Ricchezze sfrontate, povertà disumana creata dallo sfruttamento e dalla corruzione. Culture insaporite dal via vai di noi turisti che nella maggior parte dei casi sono proprio i brasiliani stessi, quelli “che possono” (i paolisti ad esempio) e poi gli altri, noi, il resto del mondo. Tutti a popolare un tessuto sociale che si esprime in vari modi, pure senza troppi sbattimenti (il giusto) e che nelle grosse città si riversa sui lungo mare dove si fanno chilometri di corsa all’alba o al tramonto, vestiti di cuffie hi-tech, rollerblades, tutine Nike o similari e non per ultimo i Pokemon, nella testa e tra le mani di chiunque abbia qualcosa che assomigli ad uno smartphone. Bambini, giovani e adulti letteralmente invasi e invasati da sti pupazzi colorati. Roba da non credere ve lo assicuro. Ai confini della realtà. Una nuova droga.
E non manca ovviamente poi il “funkyzarro” che misura il proprio celodurismo in watt. Lo vedi, lo senti, lo vivi. Nei paesini si trovano spesso dei “carri”, pick-up con 350 mila milioni di watt nel cassone, creati senza troppi sbattimenti nè licenze, per attirare il popolo della notte e chiunque abbia voglia semplicemente di socializzare, bere, ballare e certamente fare molto di più. Meglio non indagare.
E per mangiare, bere e fumare?
Birra a fiumi, vino decente se di importazione (quindi oro puro), riso, carne di ogni tipo squisita, frango (il pollo), frutta secca e fresca, gialla, rossa e arancione a quintalate, che finisce frullata anche nelle ottime caipirinha che fanno ovunque oppure mangiata cotta, disidratata, fritta. Insomma, ce n’è per tutti i gusti. Un’ottima dieta per andare in bagno non meno di 2 volte al giorno ed il colon ringrazia.
Poi fantastiche le salsine e condimenti colorati al sapore di “ti ammazzo la faccia” (a base d’aglio o cipolla) e quindi udite udite la pizza, buona, sottile, ben condita, che mangiano come alternativa, servita su un vassoio a fette guarnite da uno o più gusti e che abbiamo avuto la sorprendente fortuna di pagare una volta addirittura 25 eu. No comment please.
Dopo aver accettato la sfida e provato ogni cosa però, ad un certo punto abbiamo sentito il desiderio irrefrenabile di pasta, da buoni italiani, quindi ci siamo arresi e siamo entrati in un ristorante italiano.
Zitti, zitti, non alzate la voce che non voglio si sappia. Sì, abbiamo goduto come dei caimani con la preda in bocca. Fantastico!
E poi le sigarette, con le foto più orripilanti che nemmeno il peggior caso di CSI sarebbe in grado di decodificare e digerire. Orribili, che compri e che fumano davvero in pochi e sicuramente non ovunque, nemmeno all’aperto, per rispettare i vicini. Che dire, giusto ma da non credere. Ci tengono proprio.
Case distrutte, sporcizia ovunque, delinquenza, gente che sopravvive o che gira armata per strada e poi non si può fumare per non dar fastidio al vicino. “Proibido fumar”. Incredibile. Cioè, giusto, giustissimo ma divertente. Ah, per non parlare dei fiori nel cesso di alcune pousade. Un segno delizioso di “fresco” benvenuto.
Eccessi, disordine, contrasti di un paese incredibilmente bello, dove convivono gli spettacolari paesaggi sabbiosi delle dune nei lençois do maranhao con il verde fittissimo che li delimita. Un deserto di quella sabbia che anno dopo anno si mangia il verde circostante e in cui la stagione delle piogge riversa una incredibile quantità d’acqua che poi crea un nuovo paesaggio ed un nuovo microclima.
Infine strade impolverate mai finite, case colorate e decorate dagli slogan pubblicitari, mercati della frutta o della qualunque, grovigli di cavi elettrici agli incroci, spiaggie grandi, grandissime, a dismisura erose dalla marea. Le unghie colorate sulle ragazzine e le facce distrutte dall’eroina, acidi o dalla colla dei girovaghi. E poi gli sguardi compiaciuti dei commercianti che lavorano nelle zone turistiche, che si accompagnano alla serenità che trovi in quello delle anziane signore che le hanno passate tutte.
Eccessi, più facce di una stessa medaglia che hanno da offrire davvero molto ma che purtroppo portano in se un sangue meticcio, inquinato da troppe dannate differenze culturali e sociali che condizionano lo sviluppo naturale ma che lascia nel cuore un buon sapore e la voglia incredibile di tornarci per conoscerli e viverli ancora un po’.
Se conosci il tuo mare, saidisale.