Qual è il ruolo dello skipper?
Il ruolo dello skipper è importante e va rispettato, un’attitudine che determina la qualità di una vacanza in barca a vela.
Molti pensano allo skipper di una barca a vela come al maestro di tennis, di sci, di equitazione, insomma, al figo abbronzato che ha girato il mondo. Sexy, sfrontato e ombroso, uno che fa girare la testa a molte donne… o viceversa, se è una donna, a molti uomini. Sì, può essere.
Comandare un’imbarcazione però (e non parliamo di “comandare” per lavoro), è un’altra cosa. Parlo dunque di diporto, delle vacanze estive, dei weekend con gli amici o a spasso con le associazioni più o meno sportive e i loro tesserati, dove essere skipper vuol dire qualcosa di più dell’essere “solo” figo.
Lo skipper (chiamiamolo comunque comandante – per la Legge è questo), è un po’ come essere a capo di un’azienda, solo che questa galleggia. Ci sono infatti aziende galleggianti da 10, 12 metri o anche da 100, che danno logicamente da fare in maniera diversa ma le responsabilità oggettivamente sono le medesime. Il valore di una vita umana vale sia su una barca da 10 metri che da 100. Non è così?
Non c’è quindi una responsabilità di serie A o B. Le responsabilità per uno skipper, sono responsabilità.
Troppi in Italia non si rendono conto delle implicazioni legali e penali che il comandante di un’imbarcazione ha, sia essa di 12 o 30 metri. Oltre al grado di responsabilità che ha una sua decisione durante una vacanza al mare.
Tanto c’è l’assicurazione. No, non basta. Davanti ad un giudice, bisognerà dimostrare di avere avuto l’atteggiamento del buon padre di famiglia. E come si fa per poterlo dimostrare? Con la disciplina e la precisione.
Mi sono imbattuto in questa impresa: la certificazione RYA (Royal Yachting Association), ente appartenente alla Federazione Internazionale della Vela, il World Sailing.
Perso prima tra i libri in inglese e poi nell’esame per il conseguimento della certificazione Yachtmaster Offshore, ho finito il mio tour didattico tra le federe di un cuscino sempre troppo caldo, sul quale, ormai moribondo, ho dato sfogo alla peggior influenza io abbia mai avuto. E’ stato il risultato di uno sforzo fisico e mentale notevole, al quale ho affidato nell’ordine prima l’anima e poi il corpo. Un percorso che mi ha dato però un nuovo punto di vista ed un modo decisamente più concreto di portare avanti la mia passione per la navigazione a vela.
La patente nautica e l’attitudine al comando.
La preparazione alla patente nautica, è un cammino che molti intraprendono dopo essersi bevuti decine di litri di acqua di mare e masticato anni di vela, seduti su quel bordo della barca, con in mano un timone a barra o a ruota. Altri invece fanno il contrario: cominciano la loro avventura nautica partendo dai banchi di scuola.
E fin qui nulla di strano, questione di scelte.
Per “crescere” però, dal punto di vista della responabilità che questo documento impone, serve esperienza certo ma anche attitudine: l’attitudine al comando. E gli inglesi questa la vogliono vedere molto chiaramente in barca, prima di ogni altra nozione da imparare a memoria.
La patente in fondo è solo un pezzo di carta che certifica alle autorità marittime il grado di presunta preparazione alla conduzione di un unità da diporto. Dico presunta perché poi sta a chi è al timone dimostrare ciò che è in grado di fare ma soprattutto, di non fare.
Questo è il punto. Non fare …cazzate. Uno skipper non deve dimostrare agli altri ma a se stesso. Il primo vero atto di responsabilità e consapevolezza.
Ci si mette al timone sempre convinti di essere imbattibili, capaci di gestire con la forza qualsiasi cosa ma in realtà, quando siamo a mollo su una barca di 10 o 15 metri, siamo solo una microscopica goccia nell’universo di acqua salata che ci sorregge e contro il quale, nulla è fattibile se non “affrontandolo” con il massimo rispetto, la programmazione, il cervello e la determinazione.
Questo purtroppo, durante il corso per il conseguimento della patente nautica italiana non viene trasmesso con il dovuto peso, come invece accade nei corsi inglesi, dove queste nozioni sono materia d’esame. Sarà che uscire in barca alle loro latitudini, può diventare un’esperienza davvero drammatica.
Basti pensare alle escursioni di marea che ci sono nel Solent o a Saint Malò (nord della Francia). Ai minuscoli e imbrogliati porticcioli del sud dell’Inghilterra infilati in canali d’acqua di pochi metri di larghezza, con scogli affioranti o annegati 2 volte al giorno dalla marea e quindi invisibili agli occhi o alle correnti che, in alcuni casi, sfiorano addirittura i 7/8 nodi di velocità. Senza metodo, tutto questo non potrebbe essere affrontato. Non in sicurezza almeno.
La vera differenza tra le due didattiche quindi, è quanto meno nella mentalità, nell’approccio, nella capacità di avere la visione d’insieme di un ruolo che è determinante per se stessi ma soprattutto per il proprio equipaggio. Le nozioni in fondo non sono poi così diverse. E queste sono le prime cose da valutare nel proprio skipper.
Dunque chi è lo skipper?
Non è un animatore turistico! O un’amico con il quale farsi una canna o con il quale scolarsi l’ultima bottiglia di rum. Sì certo, ognuno è libero di fare ciò che vuole (a terra) ma in mare, prima di tutto è il comandante di una barca. E lo dico con cognizione di causa, dato che siamo stati tutti …”giovani”. Anche io in passato ho fatto quelle cazzate di cui parlavo. Poi però si cresce e per fortuna, non è mai successo niente.
In qualsiasi circostanza infatti, lo skipper è l’ufficiale in comando, il responsabile civile e penale di ciò che capita a bordo, sia alle persone che allo scafo. Ed ovviamente a terzi. In qualsiasi momento, sempre. Se vogliamo essere precisi, anche quando l’equipaggio è a terra o quando si è fermi all’ancora in una rada, dove l’imbarcazione è considerata in navigazione, fino a quando non è ormeggiata in un porto.
Non deve lasciare niente al caso o darlo per scontato. Tutto può sempre accadere e quando accade, l’attitudine al comando dello skipper viene immediatamente smascherata.. e se è all’altezza, sarà questa a salvargli il culo 👍
E’ la leadership …quella che gli inglesi in barca chiamano seamanship. Si ha o non si ha e nessuna patente potrà fornirla e dunque da tenere assieme ai documenti nel portafogli.
Quindi lo skipper cosa deve saper fare?
Lo skipper deve avere ben chiaro prima di tutto il concetto di sicurezza, la capacità di saper fare, dire e dimostrare …ciò che poi dovrà chiedere di fare all’equipaggio. In quei momenti in cui c’è bisogno di avere un punto di riferimento. E’ quello da seguire, a cui affidarsi perché sa cosa fare… e anche se non sa, trova sempre la soluzione per tenere tutti al sicuro.
Sa guadagnarsi così il rispetto, senza pretenderlo. Sa muoversi in anticipo, non si agita quando c’è l’imprevisto, ha sempre un piano B e pianifica senza programmare perché sa improvvisare. E’ comprensivo ma diventa categorico e autorevole quando deve dire “no!”.
Tutte doti che un buon padre di famiglia, il capo di un’azienda o il leader di un gruppo deve avere. La vela in fondo, è una scuola di vita incredibile. Forma carattere e personalità di chiunque… se si hanno.
Non cercate quindi in lui l’animatore, il servo su cui scaricare i capricci o un bamboccio con il quale farsi una scopata (beh, questo sarà a vostra discrezione.. non siamo in clausura). E’ sempre a disposizione ma non al tuo servizio.
Se volete quindi fare vacanza in barca, l’organizzazione farà la differenza certo. I compagni di viaggio saranno importanti, la spesa fatta bene pure, il mare ovvio, le spiaggie dovranno essere le più belle, il divertimento a terra da paura, il programma da rispettare ok… ma ricordate che lo skipper è ciò che conta, perché, evita il peggio, è quello che vi tiene al sicuro anche se vi fa divertire quanto più possibile …sempre e solo però, in sicurezza. Rispettate quindi il suo ruolo e le sue decisioni, chiunque esso sia per voi e quindi, la sua funzione 😉
Se siete d’accordo in questo, vuol dire che saprete cosa cercare, cosa valutare e la vostra vacanza in barca a vela vi assicuro, sarà un’esperienza assolutamente indimenticabile. Da ricordare come una delle migliori.
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Buon divertimento allora, buona vita e …buon vento 🤗
Quello che scrivi è vero. Basta però dare una lettura al codice della navigazione (testo unico sia per la nautica che per l’aviazione) per aprire gli occhi sulle proprie responsabilità e “divertirsi” in modo più consapevole. Nella scuola che avevo fatto io, non lo si è mai letto. Poi con l’esperienza prima e il corso osr isaf poi, ci si rende conto di quanto spesso la formazione, didattica per convenienza, ritenga la sicurezza spesso secondaria quando solo enunciata. Non so però se affrontare l’argomento sicurezza e responsabilità a chi mette il piede per la prima volta su una barca, aiuti a renderli davvero più consapevoli.
Ciao Ste,
purtroppo questo aspetto è un po’ troppo sottovalutato anche se ultimamente vedo sempre più corsi più o meno seri per farsi quell’esperienza “negativa” che si scongiura di fare al contrario nella realtà ma che è l’unico modo, se ci pensiamo bene, per imparare… come nella vita di tutti i giorni direi. 😉😄 Forse la consapevolezza cresce allenandola… anche in questo modo.
Se si crede in questo, non si demorde a mio avviso. Anzi.
Grazie per aver risposto. Il tema è serio, vasto e meriterebbe una degna attenzione.
Ottima sintesi
Grazie Andrea